Il supergenoma delle cozze del Mediterraneo Alcuni esemplari potrebbero sopravvivere all’acidificazione dei mari ed al cambiamento climatico

Di Alessandra Orabona
Da sempre l’uomo è stato affascinato dall’idea dell’immortalità. Beh, sembra che le cozze ci vadano molto vicino! Dagli ultimi studi condotti è emerso che questo mollusco è dotato di una sorprendente resilienza e capacità di adattamento. Nonostante le sue ridotte dimensioni, infatti, è costituito da ben 65.000 geni, più del doppio di quelli umani. Un’architettura genomica piuttosto insolita per un animale, basata su alcuni geni condivisi da tutti gli esemplari della specie ed un 20% circa di geni “spendibili” presenti solo in alcuni e legati alla capacità evolutiva e di sopravvivenza. Proprio questi ultimi consentono alle cozze di combattere la vasta gamma di microrganismi patogeni e contaminanti cui sono costantemente esposte.
In più, queste varianti genetiche in futuro potrebbero consentire loro di adattarsi e resistere all’acidificazione dei mari (causata dalle emissioni di anidride carbonica dovute all’uso di combustibili fossili) ed ai cambiamenti climatici, che minacciano la sopravvivenza di diverse specie marine (e non solo). I ricercatori hanno scoperto che le cozze hanno proprietà antibatteriche e antivirali sia contro i virus animali che umani ed anche una buona capacità di rigenerazione delle ferite. Tutto ciò apre nuove strade per l’applicazione della scoperta in medicina e medicina veterinaria.
Ma la ricerca non si limita a questo, perché delle cozze non si butta via nulla! Sono in corso diversi esperimenti volti a sfruttare ogni parte del mollusco, compreso il guscio, anch’esso particolarmente resistente. Essendo difficile da smaltire, potrebbe essere riciclato nella bioedilizia, soprattutto sottomarina, divenendo un potenziale materiale di costruzione per piastrelle e mattoni, come già sta accadendo sulla costa adriatica. E persino il bisso, quel filamento fibroso che consente al mollusco di attaccarsi alle superfici rocciose, viene da tempo sfruttato per ricavare tessuti nel Mediterraneo, dove viene denominato “la seta del mare” (tranne a Napoli, dove è comunemente chiamato “streppone”). Eppure, pare che le sue potenzialità vadano ben oltre il settore tessile: alcuni studi sono finalizzati a riprodurre la struttura del bisso per eseguire suture chirurgiche, per far aderire i tendini alle ossa e per riparare i denti danneggiati.